Acerno fu una delle prime località del Picentino dove, nel 700, si sviluppò una forma di proto-Industrializzazione con la presenza di due ferriere, due cartiere, una “valchera” per la lavorazione del lino con annessa “tinteria”.
Nella valle di Acerno esistevano due cartiere. Ad oggi sono visibili ruderi di una delle due, forse la più antica, costruita presumibilmente tra la fine del ‘600 e l’inizio del 700.
La Cartiera non era alimentata dall’acqua del fiume, che si trova a valle, ma da sorgenti che nascevano a nord dell’opificio. Inizialmente la Cartiera era di due piani, portati successivamente a quattro come risulta da un atto di vendita datato 14 settembre 1824, da parte del Marchese Giovanni Mascaro, figlio di Girolamo, a Gaetano Criscuolo.
Il piano inferiore era composto da sette stanze dove erano situati magli in legno che, azionati da una ruota idraulica, battevano e trituravano gli stracci di lino, cotone e canapa precedentemente raccolti nelle “pile in pietra”. L’impasto ricavato si prelevava dalle “pile” con opportuni attingitoi di legno e veniva messo in una vasca, il “tino”, diluendolo con acqua.
Il “tino” era una vasca in pietra, rivestita internamente in maiolica, dove l’operaio immergeva un telaio il cui fondo era costituito da una rete metallica a maglie strette e raccoglieva una certa quantità della pasta, distribuendola nella forma. Scolata l’acqua restava un sottile strato di pasta.
Sono ancora oggi visibili, negli ambienti del piano inferiore, le “pile in pietra “ed i resti dei due “tini” II sottile strato di pasta costituiva il “foglio”.
Il “foglio” veniva poi messo su un feltro di lana “ponitore” e poi ricoperto da un altro feltro.
I “fogli” accatastati venivano portati al plano superiore, dove erano sottoposti ad una pressa per l’eliminazione dell’acqua residua.
Dopo la pressatura i fogli venivano posti l’uno sull’altro formando la cosiddetta “posta”. Le “poste” venivano trasportate nei locali “spanditoi” per l’asciugatura ad aria. Le stanze, sempre al secondo piano, adibite a “spanditoi” erano attrezzate con assi in legno per stendere la carta. Successivamente i fogli venivano portati in un’altra stanza, denominata “caldaia”, utilizzata per incollare la carta con soluzione di gelatina animale e lisciati a mano.
Allo stesso livello vi erano stanze adibite a cucina e reparto notte per gli operai.
Da un atto di vendita datato 1824 risulta che la cartiera, acquistata da Gaetano Criscuolo, era stata
ampliata e portata a quattro piani, così descritti: al primo piano vi erano stanze che ospitavano le “pile”, al secondo piano si sceglievano gli stracci, che venivano liberati dai frammenti duri e poi fatti bollire per pulirli; il terzo piano era composto da stanze dove si produceva la colla; il quarto piano presumibilmente era adibito a zona cucina e zona notte per gli operai.
Nel 1848 la cartiera era ancora in attività e ne era comproprietario Mons. Angelo Andrea Zottoli, Vescovo di Salerno.
Ma la costruzione di altre cartiere e, soprattutto, il potenziamento di quelle di Fabriano, fornite di moderne attrezzature, ne determinarono la fine.
Il Parco di Archeologia Industriale con i resti degli opifici e con l’antico sito minerario di Acerno in cui si trovano ancora i cunicoli dove avveniva I’ estrazione della lignite che alimentava le vicine cartiere e ferriere, sono una ulteriore motivo di visita per il turista oltre che costituire un prezioso strumento didattico, dato che in esso cultura storica, attività mineraria, risorse geologiche e paesaggistiche, confluiscono a determinare un’area degna di tutela.
L’accesso al Parco avviene attraverso un percorso pedonale che recupera l’antico tracciato d’accesso all’ex lavatoio pubblico e dalla esistente strada comunale ferriera, che collega la S.R.164 con la cartiera.
Ultimo aggiornamento
5 Agosto 2024, 13:46